
Mio compagno, petto che bramo i giorni e stringo le notti, mio difensore e mio tesoro, siedi qui accanto. E' tanto che ti voglio raccontare una storia, strana e fantastica, che ci riguarda. Che comincia altrove, a millenni di distanza, milioni di miglia nel tempo.
Ora che mi stringi, che la tua anima m'è vicina, ascolta i vaneggi di questa tua compagna. Solo ora con te, ho trovato ristoro per lo spirito inquieto che mi alberga dentro; solo ora ricordo tutto, ogni cosa mi è chiara. Se guardi un mosaico da vicino non intuisci il disegno, devi allontanarti per cogliere il tutto.
Vedo così mio padre, nella penombra del suo studio, immerso nella lettura di libri che allora erano ben più grandi di me, bimba curiosa. Giorni e giorni in cui non vedeva la luce del sole, a volte immaginavo i suoi tomi lo avessero inglobato, fosse diventato una miniatura, un capolettera elaborato ad incorniciare un nuovo capitolo. La mia madre, dolce e instancabile, entrava in quello che era il suo mondo e tornava a rassicurarmi: stava bene, mi voleva bene, le solite cose per far stare buoni i bimbi. Io ci credevo.
Imparai così da mia madre le arti di un bravo angelo del focolare: le mattine a cucinare fianco a fianco davanti ai fornelli a legna, i lunghi pomeriggi passati accanto a lei mentre al telaio faceva scorrere la spoletta. La trama si sviluppava in colori e forme di altri mondi, con esseri e posti mai visti; e ogni disegno era una storia, ed ogni storia una stella in più che si accendeva nei miei occhi incantati. Conobbi così le storie che nessuno dei libri che potreste leggere racconterebbe, come il grande Alexander che tagliò il nodo e divenne re, Caesar che morì trafitto dalle pugnalate del suo stesso figlio, Odysseus che ingannò la maga e liberò i suoi compagni, nomi e eroi si rincorrevano nelle fiabe strane e adulte che accompagnarono la mia infanzia.
Un giorno mio padre partì in viaggio verso il Santuario del Sud per completare una ricerca particolarmente difficoltosa; era accaduto dopo una settimana difficile, nella quale si era immerso negli studi a tal punto da non raggiungerci neppure per il pranzo, che mia madre gli aveva portato più volte su un vassoio. E che tornava indietro, intonso, sotto il suo sguardo preoccupato. Prima della partenza si erano abbracciati a lungo, ed avevano pianto entrambi. E la sera, quando io e lei rimanemmo sole dinanzi al focolare, mi raccontò una storia che mai prima mi aveva narrato.
Era la storia di una giovane donna che un giorno si trovò portata via dal suo mondo. Ella era una ladra fra le più dotate nella sua categoria, che sapientemente riusciva a dosare destrezza e fascino per raggiungere i suoi obiettivi; lavorava prevalentemente su commissione, riservandosi tuttavia di accettare gli incarichi in base ad un suo metro di giudizio, per poter sempre guardarsi allo specchio la sera senza provare senso, diceva a se stessa. Un dì le venne proposto un incarico una spanna al di sopra di tutti quelli precedentemente portati a termine, sia perché difficile in sé, sia per la curiosità morbosa che le suscitava: introdursi nella biblioteca più antica e sorvegliata del mondo conosciuto, e portarne via un libro che veniva considerato alla stregua di un mito, sempre nominato con un misto di riverenza e scetticismo. Lei accettò, e intraprese quella che considerava l?incarico della sua vita, arduo e affascinante, che l?avrebbe condotta direttamente in vetta alla lista dei maestri nell?arte della sottrazione indebita.
Controlli, allarmi, nulla fu realmente un problema per lei. Raggiunse il suo scopo con determinazione e professionalità, estrasse il tomo dalla teca nella quale era conservato e lo soppesò fra le mani. Passò il dito fra le cuciture in pelle della sovraccoperta, i preziosi angoli in metallo pregiato, l?incisione a caldo sul frontespizio. E, forse a causa della natura particolare del libro, per la curiosità che sprigionava, aprì il volume e lesse alcune pagine nel centro. Una luce porpora l?avvolse, strani simboli si sprigionarono dalla carta fra le sue mani, e una vertigine mista a nausea accompagnò un carosello di immagini fuori da ogni logica. I contorni delle cose divennero più nitidi, e una stanza stracolma di libri prese forma attorno a lei, mentre uno strano cerchio cosparso di simboli assai poco rassicuranti lentamente scompariva sotto i suoi piedi. Dinanzi, un giovane dall?aspetto austero ed elegante, biondo e bellissimo sgranava gli occhi, e la sorreggeva mentre lei sveniva fra le sue braccia.
Qua si interruppe il racconto, anche perché il sonno mi aveva oramai portato via dalla veglia. Credo mia madre mi abbia portato a letto, perché il giorno dopo mi ci svegliai. Scesi dalle stanze da letto, e mi accorsi che la casa era vuota: ero la sola occupante dell?edificio. Dapprincipio non diedi molto peso al fatto, suppongo perché non era cosa nuova che io venissi lasciata sola quando qualcuno si recava al mercato. Ma a sera nessuno ancora era tornato, e mi preoccupai non poco, riuscendo a chiudere occhio solo a notte inoltrata, davanti al camino.
Il mattino seguente tornò mio padre, e inenarrabile fu la sua disperazione quando intuì che mamma era andata via. Dopo due sere chiuso nel suo studio, nel quale mi aveva tassativamente impedito di entrare, e dal quale si sentivano provenire urla di esseri non di questo mondo torturati e sofferenti, uscì fisicamente e psichicamente distrutto da lì sotto. La mattina dopo mi portò alla Sunspire e mi consegnò alle cure della sacerdotessa Matron Arena, affinché mi crescesse sino alla maggiore età; e con un bacio ed una carezza mi lasciò anche lui.
Solo qualche anno dopo potei ritornare alla mia vecchia casa, e mentre la nostalgia mi serrava il cuore in una morsa di piombo azzardai la discesa nell?antro degli studi del mio genitore.
Quello che ora riconosco come un cerchio di evocazione ancora brillava nel pavimento, tale era l?energia ancora immagazzinata al suo interno, mentre tutto attorno esplosioni di sangue imbrattavano le pareti, impronte di arti con troppe dita cercavano di aggrapparsi ai mobili e quegli occhi, per pietà gli occhi, migliaia di occhi erano in tutte le pareti, e mi fissavano, seguendo i miei movimenti.
Mi sedetti alla scrivania di mio padre e presi un libro. Poi un altro, e un altro, e prima che potessi accorgermene era passata una giornata intera. Ma la febbre che sentivo nascere in me era ben altra forza, e mi aiutava a restare sveglia: la rabbia per la sorte del nostro popolo, la vita a metà che eravamo costretti a subire, il potere di assoggettare i nostri carnefici mi fece seguire parte degli appunti del mio genitore, ed a trovare in me l?oscurità per sfruttare il potere delle ombre. Capii di più circa nostro mondo, la sua storia, la sua conformazione. Quale spazio occupiamo e cosa dobbiamo aspettarci.
Una settimana dopo, lasciata la stanza che mi osservava, mi presentai al maestro Teli'Larien come allieva Evocatrice. Cominciai il mio tirocinio come Warlock.
Amore mio, so che non apprezzi il mio richiamare le energie che un dì fecero a brandelli la nostra terra, ma io soggiogo al mio volere questi esseri, e sono appagata come da una lenta vendetta per ciò che abbiamo dovuto subire. Ma ora che i miei studi portano profitto, so cosa cercava mio padre, e so il significato del racconto di mia madre. Lei era la donna arrivata sul nostro mondo dopo la lettura del libro malvagio, e mio padre se ne era innamorato quando giunse qua durante una sua evocazione andata per il verso sbagliato. Per anni lei aveva aspettato di poter tornare a vedere la propria casa, e gli aveva anche dato una bambina ? me, appunto. Ma quando fu chiaro che gli studi di mio padre non avrebbero portato a risultati utili, lei riprese in mano il libro e lesse, nella speranza di tornare nel suo mondo, e sparì. Mio padre interrogò e torturò tutti i demoni degli abissi per avere informazioni su dove fosse andata a finire, ma non ebbe risposta, e mi abbandonò per intraprendere una ricerca ancora più grande, quella del suo amore.
E questo mi fu narrato dal mio Imp, che tu conosci bene e che spesso ci accompagna. Ed io continuerò la ricerca di mio padre, per riportare a me i miei genitori, e dare pace alla mia madre.
E questo anche per dirti che il mio amore per te, Reventhon, non è una finzione dettata dal calcolo: sono pronta ad accettare la nostra relazione come lo sei tu, proprio perché non sono totalmente un'elfa del sangue. Mia madre era infatti un'umana.
Si chiamava Sandra McGowan, e la copia de "il Necronomicon" della Biblioteca Vaticana, sulla Terra, l?ha portata via con sé.
posted by kotazzu at 8/23/2009 10:59:00 AM
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Si allarga, e man mano che ci si allontana aumenta di importanza, di significati, si arricchisce in concetti e in parti di cuore che ci lasciamo strappare, che lasciamo da riprendere per quando ritorneremo, sperando di tornare così, segreta promessa di fedeltà ad un luogo, ad un ricordo di esso, cristallizzato in un momento.
Così come quando ci si distacca da casa, e ogni particolare viene alla mente subito dopo, si sente la corda che collega la nostra anima a quelle mura assottigliarsi per la lontananza; anelare al ricongiungimento, all'attimo in cui il piede varcherà di nuovo la soglia al termine della giornata.
Così come quando si lascia la propria città, e le strade aliene ricordano quelle percorse nella giovinezza, un angolo di palazzo sembra sottintendere uno scorcio che appartiene ad una topografia più conosciuta e più lontana. Si rimpiangono le strade denigrate, le piazze vituperate e ogni singolo sasso di quel selciato lì, che risplende nel tempo, più addolcito dal tempo e dalla nostalgia.
Così come quando ci si distacca dalla propria isola, e le campagne altrui profumano diverso, il tramonto ha sfumature che non riconosciamo; ci troviamo a fantasticare di essere riportati indietro nella notte, svegliarci nel buio e riconoscere la nostra terra dall'odore di selvaggio e di forte. E le tradizioni a lungo ignorate bussano alla porta dell'orgoglio e rivendicano la loro esistenza in racconti e aneddoti, accompagnate da lampi degli occhi vaganti nell'orizzonte.
Così come quando si lascia il proprio paese, e si cerca nel conterraneo esule anch'egli una briciola di unità tanto spesso bistrattata, non vista tra le pieghe dell'astio. E si difende a parole e a fatti l'offesa di chi si permette di criticare da fuori senza vivere dal di dentro, seppur noi stessi ci fossimo schifati per primi dei bersagli delle giuste critiche.
Così come quando si lascia il proprio pianeta, e dall'atmosfera un'alba incredibile irradia su nuvole, montagne e mari, e tutto è piccolo. E la Terra è da prendere in una mano, e non si capisce perché un gioiello verdazzurro così debba essere diviso sulla superficie, è così bello. Lo vorresti proteggere, e pensi che se tutti potessero vederlo così, con il proprio orticello ridimensionato in scala planetaria, si renderebbero conto che è possibile cambiare.
E' possibile amare il pianeta, come la propria nazione ma anche le altre che lo compongono, la propria regione ma anche le altre che compongono la nazione, la propria città ma anche le altre che la circondano, la propria casa ma anche le altre attorno.
E' solo un punto di vista, ma è sufficiente guardare. La prospettiva rimette tutto al giusto posto.
E visto da quassù, nello spazio, si puo' appartenere a tutto il mondo. La casa è il mondo, saltiamo i passaggi e completiamo l'equazione.
Ora ritorno.
posted by kotazzu at 2/21/2009 08:13:00 PM
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(diario illeggibile)
GIORNO 5: si è aperta una falla, e non sappiamo perché. Sembra che qualcosa abbia girato l'acciaio dall'interno. C'é sangue.
(pagine mancanti)
GIORNO 9: Jamie prega in una strana lingua, e le pareti cominciano a aprirsi in piaghe purulente.
GIORNO 10: la radio ha ripreso a funzionare. Ma riceve solo urla e grida che mi terrorizzano.
GIORNO 11: delle luci si avvicinano sull'acqua. Scivolano senza rumore. Una è arancione, e sembra che all'interno ci sia...un feto?
(strappo)
GIORNO 13: la "cosa" si è fermata al centro del ponte, stringe ancora il braccio di Dingo. Ondeggia.
Seguite le avventure della Dynamo verso l'ignoto, sul mio Twitter.
posted by kotazzu at 12/30/2008 09:43:00 AM
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Molti pensano che 2001 sia stato tratto dall'omonimo libro, la realtà è lievemente differente: Kubrik e Clarke avevano un canovaccio, e si erano messi d'accordo per lavorarci ciascuno a modo suo. Il libro e il film, seppure con tempi gestazionali diversi, sono nati parallelamente. Per questo si notano convergenze, ma soprattutto slittamenti, nella trama e nello svolgimento.
Con questo, dovreste prendervi il libro e leggervelo, mandria di bifolchi illetterati scarsamente utili se non ad aumentare l'effetto serra col metano prodotto dal vostro intestino.
Ricordate: i Ramani fanno tutte le cose tre per volta.
Etichette: eroi, fantasy, tecnologia
posted by kotazzu at 3/19/2008 08:35:00 AM
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Ogni domenica, in barba al comune buon senso, mi svegliavo più presto del solito. Prendevo i piedi e andavo a casa di un amico, dove su un tavolo campeggiava un diorama impossibile composto da scatole di cartone, figurine dipinte in piombo con fattezze umane, puffi, cavalieri delle uova kinder e palline di gomma, una spropositata quantità di dadi multifaccia multicolori, fogli, riviste e bicchieri.
E un manuale consunto e lacero, dove campeggiava "TSR-Dungeons&Dragons".
Lì dentro nacque Kotazzu. Crebbero i miti dei guerrieri legali, dei maghi caotici, dei ladri imbecilli e dei preti col pelo blu.
Il tutto grazie allo zio di tutti i personaggi sopra citati, un intelligente uomo capace di pensare fuori dagli schemi, capace di vedere qualcosa di ovvio come ragazzi attorno ad un tavolo che si raccontino storie, con l'aggiunta di una linea guida e di qualche aiuto meccanico (roll the dices!).
Non raccontero' le vicende dell'uomo (le sue controversie giudiziarie con la TSR, portata al rosso finanziario dai processi e costretta a vendersi alla WOTC, cercatele nei link ), ma senza di lui la mia vita sarebbe meno varia, non avrei gli amici di adesso, avrei un po' meno fantasia, un bel po' più triste, insomma.
Link - La commovente striscia di Order of the Stick
Link - Il post su WIRED
Link - La voce italiana su Wikipedia per Gary Gygax (seguite i link sotto)
Link - La voce inglese su Wikipedia, più completa
Rip Gary. Ricominciamo la campagna, tira i dadi: che i prossimi tuoi siano tutti tripli 6.
posted by kotazzu at 3/07/2008 10:19:00 AM
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"Come ha potuto essere oltrepassato così velocemente il servizio di pattuglia all'entrata? I tre agenti davanti al portone non hanno visto niente?"
I giovani hanno sempre delle domande par queste. In codesto caso, la domanda era sì pertinente, ma metteva in piena luce come l'interesse di Liann Marrow per la lezione si fosse risvegliato solo negli ultimi tre cicli. L'istruttore sollevo' un sopracciglio, e tirando indietro le orecchie lo trafisse con una assolutamente omicida occhiata.
"Recluta Marrow, la Finestra ci ha mostrato che l'individuo si é teleportato dal portico della villa adiacente, direttamente sul davanzale del terzo piano. Ora, quella era l'unica zona lasciata senza sorveglianza perché giudicata erroneamente irraggiungibile con mezzi convenzionali, appunto quelli che in questo caso non sono stati utilizzati."
"Uh."
"Ed é solo grazie al fatto che il testimone era stato trasferito preventivamente e coercitivamente in un'altra abitazione che la settimana scorsa si é potuto svolgere regolarmente il processo. Qualche altra domanda più intelligente? Sì, Jellyfish?"
"Quale era l'esatta portata del campo d'allarme?"
Liann si annojava. Non era colpa sua se le lezioni teoriche erano così barbose... Anche se ne avrebbe dovute seguire ancora in buona quantità prima di diventare Effettivo, ed essere destinato ad una pattuglia. Rimase in silenzio per la restante parte, giocarellando con le unghie, mentre nella Finestra il sicario entrava in camera, creava un blocco di roccia intrusiva grande quanto un letto e lo lasciava libero da vincoli di controllo direttamente sopra. Portando via letto, solaio e due poltrone del piano inferiore, con lesioni strutturali al solajo. Per poi scendere dal buco, constatare che aveva appena trucidato un fantoccio imbottito di paglia e sfondare una finestra con le onde mentali. Le impronte lasciate sul manico del coltello erano risultate piatte all'analisi, e la coda era nascosta sotto il pastrano, per cui, nonostante le registrazioni effettuate dai Visionatori, non si era riusciti ad identificarlo in alcun modo.
Durante la pausa, Liamm scappò dall'aula Teorica per rifugiarsi in sala di allenamento fisico. L'istruttore non si era mai accorto prima, non si sarebbe accorto mai, di niente. Si sedette sulla pila di materassi, tirò fuori dal tascapane un libro di avventure e si pose a leggere. Al pomeriggio, turno di ufficio in Centrale.
La stagione era incominciata coi migliori auspici. Il sole viaggiava basso in cielo, e Nete lasciava le notti... indubbiamente meno notti. La Stanchezza presto sarebbe scesa su tutti incondizionatamente, con conseguente diminuzione del traffico extraurbano, commerci e, cosa a Liann ben più gradita, reati. Un bell'inverno dietro una scrivania, un braciere perennemente acceso sotto, una pila immane di documenti da verificare e rapporti da stilare. Non era male, dopotutto, paragonato alle vedette montane della Guardia Esterna. E in primavera, sarebbe diventato Effettivo del corpo di Controllo. Il pensiero lo lasciava oltremodo... perplesso? Un 'crunch' dagli echi sospetti gli ricordò della matita che aveva in bocca, e dei documenti dell'archivio che aveva davanti. Vistò il registro, trascrisse la data e passo' ai successivi. Una arena abusiva per le lotte di cani invisibili. Zuffa al mercato civico settentrionale. Lite tra vicini di casa, con ferito. Reclamo contro il Comune per l'ampliamento della caserma. Prese un ciuffo di erba gattaia e lo masticò con i molari. Altro foglio.
Successivamente, non avrebbe saputo dire perché proprio quel foglio gli fosse rimasto così impresso: il nome non era notevole, il fatto era banale, un incidente domestico. Phem Mastir, anni nove e tre. Scapolo, nessun parente prossimo, nessun testamento. Trovato cadavere dopo quattro giorni, quando i vicini non avevano più visto le imposte aperte, e i quotidiani ammucchiarsi sulla soglia. Funerale a carico del Comune. Un felino come tanti, andato via senza chiedere niente a nessuno. Così, la sera, mentre rincasava, gli riaffiorarono alla mente la via e il numero civico del defunto Phem, e dato che la strada arrivare a per casa sua attraversava metà di CatBox, non vide niente di male nell'allungare di qualche minuto la passeggiata per passare, quasi come una visita di cortesia.
Aveva abitato in un quartiere medio-alto. L'acquedotto là era arrivato da almeno sette anni, e relativamente da poco era ststo allacciato alla rete di ConvogliaSole; era un posto piacevole per le famiglie, o per i single, quale era stato il caso di Phem. Liamm attraversò un isolato di basse palazzine, ed arrivò al condominio dove qualche giorno prima era avvenuto l'incidente; al terzo piano, con i sigilli della gendarmeria, l'ingresso dell'appartamento.
Gli venne quasi la tentazione di bussare, un'abitudine radicata in lui. Estrasse dalla fodera l'amuleto identificativo, che lo autorizzava all'ispezione di luoghi classificati come 'a bassa priorità', i soli che fossero alla portata della sua qualifica di Allievo. I cui superiori probabilmente mai avrebbero capito, e tantomeno apprezzato, quella inopportuna intrusione. Il bordo della porta si illuminò debolmente di giallo; scandì mentalmente le lettere del suo codice segreto, e il giallo virò al verde intenso per poi svanire, segno che nessun campanello sarebbe squillato nella mente degli uccelli allarme in centrale. Girò la maniglia ed entrò nell'appartamento.
La luce era stata staccata subito dopo il ritrovamento del corpo senza vita dell'ex-proprietario, ma questo non rappresentava affatto un problema, per gli occhi di un felino. I raggi ambrati di Nete filtravano dalle pesanti tende, mostrando una casa pulita, ordinata, ma nondimeno vissuta; testimoni di ciò le riviste sul tavolo, le stoviglie ancora nel lavabo e, nella zona notte, il letto sfatto. Qui si sedette, prese uno dei libri sul comodino, aprì la prima pagina e lesse.
"Architettura comparata del Primo. Uno sguardo d'insieme." Trasalì al suono della sua voce nell'aria ferma; richiuse il volume e lo ripose. Anche i suoi compari cartacei recavano titoli simili. "Bella casa avevi, Phem... anche se strani gusti letterari. E ora? Venderanno all'asta tutto... non hai lasciato nessuno che potesse prendersene cura... o no?" Così dicendo, s'era sdrajato sul letto, e guardava con interesse le macchie sul soffitto. Un ragno passeggiava, osservando con interesse Liamm. "Avessi qualche soldo da parte, mi piacerebbe" socchiudendo gli occhi "se solo tu fossi morto fra qualche anno, magari avrei potuto farci un pensierino!" e sorridendo a se stesso per questo grottesca riflessione, si rimise a sedere. La luce era calata, nuvole oscuravano la stella notturna. Ora si ricordava del bollettino metereologico diramato in centrale, avvisava d'un probabile temporale che sarebbe arrivato da settentrione. Non aveva particolare voglia di rientrare a casa sotto la pioggia. Aspettò in silenzio, le prime gocce facevano sospirare gli alberi, salivano di frequenza, sfrigolavano sui tetti circostanti. Una gronda bucata scandiva il tempo a intervalli regolari. "Pare staremo insieme un po' più a lungo" disse all'ambiente circostante. "Vediamo se hai qualcosa da offrire" e, stupito quasi per la libertà che si prendeva, si diresse verso quella sperava fosse la cucina;trovò che il gripplizzatore era attivo, e lo spalancò discoprendo alcune bottiglie di latte in fresco, ancora buone. Il grippli sul fondo aprì un occhio, e sbagigliò: da quanto la bestiola non mangiava? Prese una tavoletta dallo scomparto e glie la diede. Quello soffiò contento, ed un velo di brina gli si depositò affianco; Liamm lo salutò e stappo' la bottiglia. Trovò una bustina di qualcosa di indefinito e croccante in un cassetto, e col sottofondo musicale del temporale consumò la sua cena clandestina. Continuando nel suo giro ispettivo, s'avvide che la libreria in salotto teneva soprattutto libri di storia antica e ingegneria; si ricordò, gli parve, che l'altro fosse stato un ausiliario alla locale facoltà di architettura. Un grosso tomo spiccava per la sua anonimità, volume tra i volumi, senza scritta alcuna sulla costina. In mezzo a due cataloghi di materiali edili ed una raccolta di riviste del settore; interessante per la sua mancanza di interesse, lo prese.
-L'evocazione materiale e la scienza astrale-
Liamm fischiò, si meravigliò del suono, si sedette su di una poltrona e aprì il libro. Il quale, per la verità, appariva piuttosto usato; l'interno carico di note vergate a matita denotava un'applicazione regolare e metodica all'antica arte magica. Liamm la vedeva spesso applicata dagli Irregolari della sezione Piani Esterni, ma si era sempre guardato bene dal chieder loro delucidazioni sul tutto, sia per l'espressione in viso da chi s'é preso l'onere di trasportare tutti i mali di questo mondo tipica di un Irregolare, sia per le strane voci di mutazioni fisiche non richieste e di presenze notturne che...
Qualcuno bussò alla porta.
Perso com'era nei suoi pensieri, un'ondata di panico lo travolse. Pian piano ricominciò a respirare, il sangue tornò ad affluirgli nelle estremità, le orecchie ripresero sensibilità, drizzate per captare rumori; un respiro affannato veniva dalla porta, chiusa. I sigilli erano ancora disattivati. Il pelo ritto alla base del collo gli dava fastidio contro la maglietta, ma non poteva farci niente. Bussarono di nuovo. "Phem, sono Zaria. Apri, per favore!", una voce femminile; chiunque fosse, non sapeva niente. O simulava, anche se Liamm non sapeva bene perché qualcuno potesse fare una cosa del genere. Non aveva alcuna arma con sé, agli allievi ne era tassativamente vietato il porto, ma lui fuori dall'orario di lavoro avrebbe preferito comunque le armi naturali. Raccattò comunque un tagliacarte dalla vicina scrivania, memore della registrazione della mattina, lo infilò dietro la cintola e s'avvicinò alla porta. "Mastir Phem, se non apri subito la porta puoi dire addìo ai tuoi documenti, troverò qualcun altro a cui servano. E puoi star certo che lo troverò... non sono venuta da Proxima, sotto la pioggia, per restare fuori da una porta!"
Forse non era giusto, almeno non nei confronti del fu Phem. Forse lo sarebbero venuti a sapere i suoi superiori. Sicuramente, anzi. Violazione di proprietà. Manomissione di scena di un (seppur poco probabile) delitto. Magari anche...
Spalancò la porta. Chiunque fosse, impiegò qualche secondo per mettere a fuoco l'immagine di Liamm, almeno abbastanza da capire che non era affatto chi s'aspettava. " Ma tu non sei..." e la frase le si smorzò in gola, quando l'afferrò per il braccio. "Zaria, che piacere vederti!" e la trascinò con forza dentro casa. Meglio che non continuasse a parlare nelle scale. Con una mano le tappo' la bocca, mentre con l'altra le faceva segno di stare zitta. Fu così che Liamm si trovò davanti due occhi chiarissimi, abbastanza stupiti, in un piccolo volto altrettanto chiaro. Che adesso, dopo la sorpresa, stava assumendo un'espressione oltremodo collerica. Liamm stava per aprire bocca, quando la giovane gli morse la mano obliterandogliela, e come lui allentò la presa lo colpì con una ginocchiata al basso ventre; per cui lui trovo' che la soluzione migliore per risolvere l'impasse, se non l'unica, fosse quella di accasciarsi a terra e gemere.
"Uhnn"
"Non so cosa ti inventerai, ma sappi che adesso chiamerò la polizia, ladro. E ringrazia che sono in giornata buona."
"Shh ihh la polhh", annaspò Liamm.
"Come, scusa?" fece la ragazza, allontanadosi di qualche passo verso la porta.
"Ho detto, uh, sono io la polizia!", tirando fuor dalla tasca il distintivo di Allievo. Per un attimo gli venne la tentazione di nascondere la fascetta azzurra che lo classificava come tale, ma poi convenne con se stesso che peggio di così non poteva andare. "Ferma!"
"Trovane una migliore... sei troppo giovane per... allievo?"
"Sì, qualcosa contro?", disse mentre si metteva seduto sul pavimento, la faccia ancora contratta per il dolore.
"No, é solo che... oh, scusami, ti ajuto a rialzarti" e gli tese una mano. Liamm si rimise in piedi, e le diede un rapido sguardo. Era il tipo di ragazza a cui in altri tempi avrebbe gridato dietro "ehi, bella micetta!" all'uscita da scuola: veramente molto carina, bianca con la punta delle orecchie scure, snella e curata. Aveva circa la sua età, forse qualche decimo di meno. Scorse nei suoi occhi lo stesso sguardo indagatore, si chiese quale poteva essere il suo aspetto in quel momento; di certo, non aveva fatto una impressione notevole.
"Posso spiegarti tutto, non temere."
" Già, ci sono diverse cose oscure... ti po per quale oscura ragione ti trovi a casa di Phem, di notte con le luci spente? E dov'é Phem?"
"E' una faccenda un po' complicata..."
"Abbiamo, almeno io, abbastanza tempo."
"Sediamoci", disse indicando le poltroncine. "Sarà un po' lungo."
Phem Mastir insegnava Architettura comparata già da due anni e sette, era un single, e non aveva parenti prossimi ancora in vita. Era un tipo metodico e curato, una persona i cui comportamenti erano prevedibili come una mosca col miele. Aveva da poco preso qualche giorno di vacanza, anche se non aveva avvisato come era solito i vicini di un qualche suo viaggio. Così, quelli si erano preoccupati, vedendo che da qualche giorno non usciva di casa, e che i giornali arrivavano senza essere ritirati. Quando la polizia era arrivata, lo aveva trovato in bagno, annegato nella vasca da bagno; l'autopsia aveva successivamente accertato che doveva aver perso i sensi per una congestione, ipotesi avvallata anche dai resti del pranzo consumato in cucina. Lo stato avanzato di decomposizione ne impediva la resurrezione, per cui in mancanza di qualcuno che con comprovanti una parentela documenti venisse a reclamare la proprietà, entro due decimane sarebbe stato posto tutto all'asta.
Zaria non parve troppo scossa dalla funerea notizia appena datale. "Ero solo una sua conoscente", disse a Liamm quasi a scusarsi, in evidente disagio. "lo conoscevo da qualche mese, da quando era venuto a farci un seminario. Aveva chiesto al termine se qualcuno avesse mappe antiche della zona Alfa."
"E quel qualcuno eri tu?"
"Oh, no. Un mio collega gli disse che la biblioteca inferiore le aveva, e si offrì di portarcelo, dato che lavorava lì come assistente. Quando vi furono nuove assunzioni, mi presentai anche io; fui presa e lui era ancora lì, sulle mappe."
"Sì, ma perché portargliele a casa? Intendo, questa decimana era anche in vacanza. Ma sei venuta tu qua."
"Questa era la seconda volta che accadeva. Ultimamente diceva di essere occupato con studi importanti, e che non poteva permettersi di lasciare la città; così, dato che oramai conosceva diverse persone al campus di Proxima, nonché in biblioteca, si era fatto portare direttamente qua i documenti. Prima da Fero, poi..."
"Prima, quanto tempo fa?" la interruppe.
"Circa due decimane. Poi, dato che Fero si é ammalato, sono arrivata io, anche se con qualche giorno di ritardo."
"Qualche? Ti ricordi quanti?"
"Dato che Fero sperava di ristabilirsi in pochi giorni, non ha delegato nessuno... ma quando é peggiorato, ha deciso di mandare un sostituto. Stando a quello che mi hai raccontato, doveva essere qui... il giorno dell'incidente. All'ora di pranzo, credo, davanti alla biblioteca."
"Tu sei venuta qua a casa perché non sapevi come rintracciarlo? Un po' tardi... dove intendevi passare la notte?"
"Cosa é quell'aria deficiente che t'é venuta ad un tratto?" occhi di ghiaccio trafissero Liamm. "Io ho dei parenti qua a CatBox, sarei andata da loro!"
"Ehm... bene" disse imbarazzato per l'involontaria gaffe. "Io stavo... facendo gli ultimi... controlli... prima della messa all'asta..."
"Ed hai fatto finta di conoscermi..."
"Era per non allarmare i vicini"
"Allarmarli di che? Non hai un'autorizzazione?"
"L'ho dimenticata."
"Ballista."
"Ehi!"
"Perché altrimenti questa messa in scena?"
"A cosa sei iscritta? Investigazione?"
"Ho letto molti romanzi sul tema. Allora?"
"Er... a dire il vero, passavo qua vicino, sapevo di questa casa... ed ho deciso di farci un salto. Tutto qui" disse con le orecchie basse.
"Solo? Ed io che speravo in qualcosa di più...morboso, ecco"
"Hai idee un po' strane su come gira il mondo, tu!"
"Dopo che vedo un Allievo che viola il domicilio di un defunto,
mi sento autorizzata a pensare certe cose."
La casa a un tratto non parve più a Liamm accogliente come prima. Sentì la sua estraneità a tutto, e si ritrovò a pensare ad un corpo che galleggiava in una vasca da bagno. La pioggia aveva smesso di cadere.
"Senti... perché non andiamo a fare due passi fuori? La serata sembra tornata buona."
"E' una proposta?"
"Eh?" Liamm la guardò con occhi sgranati.
"Scherzavo! Non capite mai niente!" disse lei ridacchiando."Sì, usciamo, non mi sento troppo a mio agio qua dentro. Però questi li lascio qua." Indocò il grosso plico sul tavolino.
"Le mappe? Quando le riprendiamo?"
"Sono solo copie, e poi tanto tu non hai problemi d'accesso, qua. Dài" e si diresse alla porta. Il palazzo era muto; una volta sul pianerottolo, Liamm chiuse e riattivò scrupolosamente i sigilli. Zaria era già sotto, la raggiunse in due balzi e andarono a cercare un locale ancora aperto.
posted by kotazzu at 12/08/2007 01:01:00 AM
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Ora, passi che ci si debba prendere cusa delle persone. Quello che non comprendo é come ci si possa ancora mettere alla guida dopo aver bevuto: perché deve pensarci la macchina?
E se mi va di bere una birra, non parte. Vado a piedi. Muoio di polmonite per colpa dell'auto farlocca.
Ma ecco la soluzione: il gatto!
Portatevi appresso Fufi, stellino, pallino o come si chiama a casa vostra la fabbrica di pelliccia deambulante. Mettete la boccuccia del micetto nel breath controller e strizzatelo come zampogna; dopodiché, infilatelo con destrezza a mo' di guanto sulla leva del cambio. Avrete un alito immacolato (a meno che il gatto non stia andando a male, o non sia l'alcoolista di famuglia; avrete così scoperto chi si scola il Gin, e non è vostra sorella) e la leva del cambio non assaggerà più la traspirazione alcoolica della vostra manona sudata. Anzi, avrete una comoda manopola in pelliccia. E l'auto partirà magicamente.
Avvertenze: togliete il gatto con una canna per i fichi d'india dalla leva del cambio: potrebbe aversela a male per il trattamento, regalarvi effetti scaring in faccia in forma di losanghe, e la prossima volta difficilmente comunque salirà in auto con voi.
posted by kotazzu at 10/16/2007 06:11:00 PM
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Solo come l'ultima aringa nel barile, pensavo a come trascorrere la settimana che avevo davanti prima che il mio contatto mi raggiungesse per il resto della storia, che starò a raccontarvi un'altra volta. Magari davanti ad una pinta di sidro, se sarete così gentili.
La solitudine è una cosa deprecabile, ma lo scacciarla con sola birra e marinai pelosi di contorno non è il massimo. Controllai percio' sul mio libro nero delle conoscenze per verificare le mie (scarse) amicizie femminili in città.
In due passi raggiunsi la casa di Alethiel, una mezzelfa che da parte umana aveva ereditato soprattutto l'abbondanza. Al mio bussare giunse alla porta un orso peloso che poi si dimostro' essere un tagliaboschi. Di sicuro non era Alethiel. Feci la scena del venditore di enciclopedie magiche e riuscii a cavarmela, con un contratto per dodici volumi della "Marmotta dalla A alla Z".
Pensai che investire in una serie di chiamate via sfera poteva essere meglio, soprattutto per l'olfatto.
La successiva fu Agata. Alla mia chiamata non rispose nessuno, o era uscita o era occupata in quel genere di cose per cui un colpo di sfera è solo una seccatura.
Mi ricordavo bene di Maggy, al ritorno da una battuta di caccia sul mio tappeto volante era stata... beh... molto espansiva. Alla mia chiamata rispose sua madre, che mi trattenne per mezza clessidra prima di farmi solo riuscir a pronunciare il mio nome. Seppi che era in tourneé con una compagnia di attori, e che stava tanto bene che per chiunque la vedesse era come "un pugno in un occhio", la qual cosa mi lasciò perplesso, è difficile avere una buona impressione di chiunque con uno zigomo gonfio. Mi disse che rappresentavano un dramma dove dodici vergini sacerdotesse erano rapite dagli orchi, e Maggy era proprio quella che più delle altre pareva davvero una vergine. Ripensando al tappeto, se lei era una vergine, Galadriel era seconda base dei Goblins di Waterdeep.
Mentre la madre continuava a gracidare, chiusi la sfera.
L'ultima possibilità era Celia, una ragazza un po' piatta ma con una discreta balconata.
Mi ricordai anche che era la tipa intellettuale studiosa, che anche per andare alla latrina non si staccava mai dal suo libro di letteratura tardo-empatica. Lasciai stare.
Andai a cenare al Granchio Verde, il cameriere mi riconobbe e mi mise al tavolo vicino alla cucina. Dopo la terza birra mi accorsi di una fanciulla dall'altro lato della sala, da sola. Feci sfoggio del mio miglior set di sguardi, sornione, aperto, gioviale, bramoso... al quinto una lisca di pesce mi ando' di traverso, e il suddetto cameriere impiegò parecchi colpi alla mia schiena nel tentativo di debellare l'infausta vestigia interna del pasto. Dopo molti colpi, di tosse e di cameriere, e lacrime, chiesi il conto.
Passai accanto al tavolo della fanciulla, e con viva contrarietà, mi accorsi che i miei sorrisi erano stati sprecati, essendo ella una vecchia baffuta signora. Le birre offrono uno spettacolo distorto della realtà, non si dovrebbe bere prima di occhieggiare.
Mi addormentai sognando una ragazza di uno spettacolo con gli orchi che leggeva letteratura tardo-empatica a un giovane cameriere del Granchio Verde, mentre una vecchia signora coi baffi ballava per le strade con un taglialegna che si chiamava Alethiel.
Il giorno successivo mi riebbi un po', e mi accorsi che il mio guardaroba avrebbe avuto bisogno di una sistemata radicale. Contattai un mio amico sarto, che oltre a pomparmi via dalle tasche una discreta quantità di pezzi d'oro notò la strana luce nei miei occhi.
"Tu hai bisogno di compagnia."
"Direi, non so come ammazzare il tempo."
"Guarda, tra le mie indossatrici c'é una ragazza veramente a posto. Certo, se vuoi fare conversazione ti metto in comunicazione con un professore di magia, ma ti assicuro che per una serata va benissimo."
Mi feci dare il suo indirizzo, prenotai per due in una taverna molto à la page, raccattai due biglietti per uno spettacolo teatrale (casualmente, un dramma con vergini rapite dagli orchi) e con un mazzo di fiori presi in prestito ad un balcone mi recai da lei. Rimasi un po' perplesso e cominciai a nutrire qualche dubbio sulla bontà di questo incontro al buio.
La fanciulla aveva un nonsoché di strano, e me ne resi realmente conto non appena mi fu accanto. La sua acconciatura, composta da fili di argento intessuti con lapislazzuli, mi superava di una testa buona. Pensai che con un fulmine sull'impalcatura avrei potuto chiamare direttamente Elminster risparmiando sulla tariffa Intersfera.
Al Cigno Dorato mi resi conto di una cosa strana, cioè che con l'illuminazione sfarzosa del locale la mia compagna emanava strani riflessi ovunque, riflessi che dipartivano dalla sua incredibile pettinatura. Gli sguardi degli altri clienti furono calamitati dalla nostra entrata, e per un poco temetti che scoppiassero in un applauso.
Entrammo al teatro poco prima che iniziasse lo spettacolo. Mentre discendevamo lungo il corridoio verso le poltrone in prima fila, il silenzio calò sugli astanti. Le donne smisero di lasciar cadere i guanti, i loro cavalieri di raccoglierli, e tutti gli occhi si
puntarono su quella coppia invero male assortita che andava a prendere posto. Lei sembrava un galeone con tutte le vele spiegate al vento, e dietro trotterellava, a testa china, una sbigottita figurina che cercava disperatamente di non pestarle il vestito. A causa dell'acconciatura, poi, sembrava anche più alta quando stava seduta di quando stava in piedi, ed ero convinto che nessuno nelle cinque file dietro di lei avrebbe visto molto della rappresentazione.
Col procedere dell'azione, l'atmosfera in sala cambiò, l'allegria e il chiacchiericcio che precedono di solito l'inizio del primo atto erano scomparsi. Il pubblico era silenzioso e teso.
Improvvisamente, con mio sommo orrore, quella vuota, splendida carcassa che sedeva al mio fianco scoppio' in una risata fragorosa attirando su di se' l'attenzione di tutti. Tentai di sprofondarmi ancora di più nella poltrona, ma oramai avevo quasi raggiunto il suolo. Un'altra quindicina di passi e mi sarei ritrovato nel golfo mistico.
Le affondai un gomito nelle costole.
"Cara, stà zitta. Questo è un dramma, e le tue risate disturbano il pubblico."
"UN DRAMMA! Ma se è una delle cose più divertenti che abbia mai visto!"
"Lo sarà per te, ma disturbi tutti gli altri."
Lei scoppio' a ridere.
"Ma vuoi scherzare! Pensi che sia una stupida, ma io capisco subito quando uno spettacolo è divertente!"
Forse avrei potuto scappare di nascosto, piantandola lì, ma avendola portata io in teatro, per rispetto verso gli altri spettatori, mi ritenevo in dovere di trascinarla via.
"Tesoro, non mi sento bene....ho mal di stomaco e sto per vomitare, credo le ostriche, quelle che sembravano salsa rosa, sì, erano ostriche, di qualche anno fa ma ostriche. Non ho mai vomitato in un teatro, e poiché questo tappeto mi sembra nuovo, penso mi convenga uscire."
A questo punto arrivo' correndo il capo maschera, che mi chiese se la mia amica si sentisse male, che sembrava in preda ad un attacco isterico, e che poteva accompagnarla in direzione e chiamare un medico.
"Oh, no, non è niente di serio. E' una cosa piuttosto intima, ma poiché lei è il capo maschera, credo di potermi confidare. Vede, al ristorante ha ordinato un piatto di carpaccio di sgurflaatz, ma essendo crudo le si muove nelle budella provocandole solletico e inevitabili attacchi di riso. La portero' io stesso da un cerusico."
"La direzione mi manda comunque a dire che disturba il pubblico."
Allora le afferrai un braccio, e adducendo il mio precario stato di salute la trascinai via recalcitrante, promettendole un altro invito a teatro quando mi fossi rimesso in sesto.
Son sicuro che quando Mornagin sintetizzo' per la prima volta l'acqua di roccia nanica (distillare sarebbe un eufemismo, non si puo' chiamare distillato una cosa che va posta in fiaschette di piombo per evitare che sciolga il contenitore) non fu più felice di quanto lo fui io allorché, uscendo da lì, vidi un calesse vuoto sul marciapiede.
"EUREKA!"
"Che vuol dire Eureka?"
"Niente, è il nome del cocchiere. Isidoro Eureka. L'ho preso altre volte."
Detto cio', posai sulla carrozza la mia bella, che ormai aveva l'impalcatura un po' sbilenca a causa del tetto basso. Sbattei la porta, diedi al cocchiere un pezzo d'oro e dissi
"Eureka, porta la signora dovunque voglia andare".
Dopo tutto, la vuota stanza della locanda non mi appariva più tanto inospitale. Lanciai un bacio al calesse che si allontanava lentamente, e scomparvi correndo nella direzione opposta. Al Sicuro.
posted by kotazzu at 9/22/2007 10:31:00 AM
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posted by kotazzu at 9/21/2007 01:03:00 AM
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